Mnamon

Antiche scritture del Mediterraneo

Guida critica alle risorse elettroniche

Sudarabico antico

- XI/X a.C. - VI d.C.

a cura di: Alessia Prioletta      DOI: 10.25429/sns.it/lettere/mnamon046
Ultimo aggiornamento: 1/2023


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Esempio di iscrizione in grafia monumentale di epoca arcaica


In Arabia meridionale, durante l’epoca preislamica, furono in vigore due tipi di scrittura alfabetica consonantica: uno monumentale e l’altro minuscolo. La grafia monumentale, detta anche maiuscola, è regolare e geometrica, incisa su supporto destinato a durare e ad essere visto. La grafia minuscola, dall’andamento più agile e che assomiglia al nostro corsivo, è iscritta su materiale deperibile (bastoncini di legno e steli di palma) e destinata ad un uso prevalentemente privato.
I primi documenti risalgono probabilmente al XI-X secolo a. C. e sono iscritti in minuscolo. La scrittura monumentale si formalizza solamente intorno al IX-VIII secolo a. C., con la nascita dei regni sudarabici che, a parte minime differenze stilistiche, condividono entrambi i sistemi di scrittura. Gli ultimi documenti sudarabici risalgono alla metà del VI secolo d. C.


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Indice dei contenuti

Origine e formazione dell'alfabeto sudarabico

Agli inizi del II millennio a. C., nasce nel vicino Oriente antico il sistema di scrittura alfabetica, da cui, qualche secolo più tardi, si sviluppano due grandi tradizioni, ciascuna con il proprio ordine alfabetico, e con forme e nomi delle lettere propri: il sistema fenicio-aramaico (o del semitico del nord-ovest) e il sistema arabico (o del semitico del sud).

L’alfabeto sudarabico, da cui si è sviluppato anche l’alfabeto etiopico e probabilmente quello hasaitico, rientra quindi nella tradizione arabica, di cui fa anche parte l’alfabeto nord-arabico. Non è stabilito esattamente in quale regione si sia formato il proto-alfabeto arabico, i cui documenti più antichi sono in ogni caso alcuni bastoncini sudarabici, che secondo le datazioni al carbonio 14 potrebbero risalire al XI-X sec. a. C. L’area di diffusione potrebbe essere la regione della Siria meridionale, della Palestina o del Sinai. Secondo un’ipotesi recente, l’area dell’oasi di Taymāʾ, in Arabia settentrionale, potrebbe aver costituito un intermediario per la diffusione della tradizione alfabetica arabica nel resto della penisola.


Nonostante una certa somiglianza con alcuni caratteri dell’alfabeto fenicio, l’esistenza di segni diversi fece da subito ipotizzare che l’alfabeto sudarabico appartenesse ad un'altra tradizione. Questo fu confermato dalla scoperta di alcuni abecedari iscritti su lastre, pietre o rocce, trovati a Timnaʿ e a Maʾrib (Yemen) e ad al-ʿUla (Arabia saudita), che presentavano un ordine alfabetico diverso da quello fenicio. Nel 1987, lo studioso A. Lundin riconobbe nella tavoletta in alfabeto ugaritico ritrovata nel 1933 a Beth Shemesh, in Palestina, un abecedario scritto secondo l’ordine alfabetico sud-semitico. Nel 1990, un documento simile è stato ritrovato nella stessa città di Ugarit.

Ordine e composizione dell’alfabeto sudarabico
L’alfabeto sudarabico si compone di 29 segni, due in più di quello ugaritico e ben sette in più dell’alfabeto fenicio. Rispetto alla maggior parte degli altri alfabeti della penisola araba, quello sudarabico contiene il grafema s3, che indica la terza sibilante e risale al repertorio fonetico del proto-semitico:

h l ḥ m q w s2 r b t s1 k n ẖ ṣ s3 f ʾ ʿ ḍ g d ġ ṭ z ḏ y ṯ ẓ 


A questi caratteri, va aggiunto il segno | che separa ciascuna parola. In epoca antica e fino all’era cristiana, le cifre numeriche venivano indicate da alcune lettere, che costituivano l’iniziale del numero indicato:
| (1), (abbreviazione di ẖms1t “cinque”), ʿ (abbreviazione di ʿs2rt “dieci”), m (abbreviazione di mʾt “cento”), un simbolo disegnato come la metà della m (per indicare “cinquanta”) e infine ʾ (abbreviazione di ʾlf “mille”). 


Come accennato, le prime attestazioni di scrittura sudarabica potrebbero ritrovarsi in alcuni bastoncini iscritti in grafia minuscola. I primi esempi d’iscrizioni monumentali risalgono, invece al IX-VIII sec. a. C.


Bibliografia di riferimento
Lundin 1987
Robin 1991-1993 a
Bordreuil e Pardee 1995
Macdonald 2000
Bron 2002
Robin 2008


Alfabeto monumentale

La documentazione più significativa, oltre che la più numerosa, proveniente dall’Arabia meridionale è costituita dalle iscrizioni in grafia monumentale, che la tradizione arabo-islamica tramanda col nome di musnad. La grafia monumentale si caratterizza per una grande regolarità, e i cui segni, separati tra loro e generalmente facili da leggere, si avvicinano al nostro maiuscolo.

La scrittura monumentale sudarabica si formalizza originariamente nella regione del Jawf e di Sabaʼ, da cui provengono i documenti più antichi, e dove alcune lettere rivelano una certa esitazione nella resa grafica (s3, o in particolare). Inoltre, in alcuni centri del Jawf, come as-Sawdāʼ, sono evidenti i tentativi di imporre forme particolari ad alcune lettere (come la r a doppio tratto oppure la m a tre punte) che però non riescono ad affermarsi come uso corrente.

Ductus ed evoluzione della grafia
Le iscrizioni sudarabiche si leggono generalmente da destra verso sinistra. Tuttavia, i documenti più antichi, di cui si hanno esempi molto lunghi, possono avere un andamento bustrofedico, in cui la direzione cambia su ciascuna linea. Il ductus bustrofedico è particolarmente diffuso nel regno di Sabaʼ, dove continua ad essere utilizzato almeno fino agli inizi del III sec. a. C., mentre è molto meno in voga negli altri regni sudarabici.

Gli studi di J. Pirenne sono stati fondamentali per l’analisi della grafia monumentale sudarabica. Le lettere possono essere suddivise in base alla forma (lettere rettangolari, rettangolari con appendice diacritica, con asta e appendice, con cerchi, a cupola ecc.), alla proporzione dell’asse e alla tecnica e ornamentazione.

Delle 29 lettere dell’alfabeto, 11 hanno un asse di simmetria e solamente 8 ne sono prive. Pirenne ha evidenziato come l’evoluzione grafica si basi innanzitutto sulla variazione della proporzione tra altezza e larghezza dei caratteri. Nella fase più arcaica, tale modulo è di 1/2, mentre nella grafia “classica”, caratterizzata da una perfetta armonia, la proporzione diventa di 1/3.
Pirenne ha anche notato un’evoluzione irreversibile nella forma delle aste delle lettere. Nei testi più antichi, le aste sono dei tratti rettilinei, ma progressivamente esse s’ispessiscono verso le loro estremità libere, che prendono la forma di triangoli allungati. Successivamente, l’ispessimento riguarda esclusivamente il triangolo all’estremità libera, come nei caratteri tipografici della stampa classica.
Un’altra evoluzione irreversibile che caratterizza la grafia monumentale è il passaggio dagli angoli retti agli angoli acuti, evidente nelle lettere a cupola o in quelle rettangolari con appendice diacritica.
Infine, dal IV secolo d. C., la maggior parte delle iscrizioni monumentali è incisa con una tecnica simile allo “champlevé”, in cui si scava cioè la pietra intorno a ciascun carattere, in modo da creare un effetto a rilievo. Tale stile, che mostra una certa agilità forse influenzata dalla scrittura corsiva, si estremizza progressivamente in esempi in cui le parti scavate si riducono al minimo, dando al testo un effetto confuso in cui i caratteri sono a volte difficili da distinguere.


Bibliografia di riferimento
Pirenne 1956
Robin 1991-1993 a
Ryckmans 1991-1993


Alfabeto minuscolo

Scoperta e decifrata agli inizi degli anni 70 del secolo scorso, la scrittura minuscola sudarabica è definita in questo modo in contrapposizione a quella maiuscola o monumentale. La definizione di corsivo è tendenzialmente rifiutata dagli studiosi, in quanto, oltre a contenere in sé l’idea di una grafia sbrigativa e approssimativa, essa è già utilizzata per descrivere i graffiti incisi sulla roccia dell’Arabia preislamica, che non hanno relazione con la grafia minuscola dei bastoncini. Inoltre, il corsivo indica nell’idea dei moderni una scrittura in cui le lettere sono unite, cosa che non avviene nel caso della grafia minuscola sudarabica.

La tradizione arabo-islamica, che chiama questa grafia zabūr (pl. zubur), la considera un’eredità culturale propria della popolazione dello Yemen preislamico, e tramanda che essa era iscritta su steli di palma. Il materiale quasi del tutto esclusivo di questa grafia è, in effetti, il legno, e si hanno solo rarissimi esempi di testi in minuscolo incisi su altri materiali, la roccia o il bronzo in particolare.

Attualmente, circa 250 testi iscritti in minuscolo sono stati pubblicati, ma ne sono note molte altre centinaia di esemplari, conservati presso alcuni musei yemeniti, in particolare a Sana, ma anche in collezioni europee, come a Leiden oppure a Monaco di Baviera.

Le analisi al radiocarbonio eseguite su alcuni esemplari hanno portato a datare alcuni bastoncini alla prima fase della storia sudarabica, risalente alla fine del II millennio a. C., fino ad allora nota solo archeologicamente e i cui unici esempi di scrittura erano costituiti da lettere isolate su cocci in terracotta.

Ductus ed evoluzione della grafia
Il ductus è molto agile, nonostante il supporto resistente e difficile da incidere. Il tracciato è inclinato verso destra e l’estremità inferiore delle lettere si prolunga verso sinistra, a dare un effetto di scia nella direzione seguita dal tracciato della scrittura. Come nella scrittura monumentale, un tratto verticale separa ciascuna parola.

Lo stile della scrittura minuscola subisce una netta evoluzione nel tempo. J. Ryckmans ne ha per primo analizzato le principali innovazioni evidenziando diversi stili grafici. Mentre nella fase più arcaica si ha un’evidente somiglianza con la scrittura monumentale, gli stili successivi sono caratterizzati da un’evoluzione indipendente, in cui le lettere prendono una forma diversa da quelle corrispondenti maiuscole. Si assiste ad una progressiva inclinazione delle linee dei caratteri con una perdita del loro carattere geometrico. Le lettere con elementi a forchetta, riquadro o uncino si sviluppano in una linea verticale con terminazione orientata a sinistra, e un elemento circolare semi-chiuso sulla sua destra. Alcune serie di lettere finiscono quindi per assomigliarsi molto, rendendo difficoltosa l’interpretazione del testo: per esempio ʿ, b, m, oppure ʾ, k, s1. Altre, come la d o la , acquistano forme radicalmente diverse rispetto alla fase arcaica. L’ultima fase ha un ductus molto specifico, con linee marcatamente verticali e spezzate, e la perdita delle specificità di alcuni caratteri, che finiscono per essere quasi identici.

Dal punto di vista ortografico, la scrittura minuscola si caratterizza per la perdita molto precoce del grafema , reso con il , indice probabilmente di un’evoluzione fonetica nella lingua parlata.


Bibliografia di riferimento
Ryckmans et al. 1994
Stein 2010 a


La scoperta dei documenti e la decifrazione dell'alfabeto

La prima segnalazione sulla presenza d’iscrizioni in Arabia meridionale risale a C. Niebuhr, esploratore danese membro di una spedizione organizzata nel 1762 dal re Federico V di Danimarca. Nel 1810, U. von Setzen si reca a Sana alla ricerca d’iscrizioni, spedendo in Europa il facsimile di alcune lettere, prima di morire misteriosamente in Yemen.
La prima iscrizione sudarabica viene vista nel 1834 dagli inglesi S. B. Haines e J. R. Wellsted, marinai della nave Palinurus, che copiano un testo di 10 linee inciso sulla roccia di Ḥuṣn al-Ghurāb, ad est di Aden.  
La decifrazione dell’alfabeto sudarabico è opera di due studiosi tedeschi, W. Gesenius e E. Rödiger. Sulla base della somiglianza con i caratteri etiopici e aiutandosi con delle copie imprecise di caratteri sudarabici presenti in manoscritti arabi, nel 1841 arrivano all’identificazione dei due terzi delle 29 lettere sudarabiche.
Nel 1870, quando J. Halévy si reca in Yemen, restano due lettere da decifrare correttamente: la s3 (letta z) e la z (letta ʾt), oltre ad un incertezza sul valore di t e . Gli studiosi europei arrivano alla decifrazione completa dell’alfabeto alla fine del 1800, grazie ai numerosi e migliori documenti a disposizione, non solo copie ma soprattutto stampi e fotografie, oltre alle numerose iscrizioni pervenute fisicamente nei musei d’Europa.

Solo nel 1970, quasi 130 anni dopo la scoperta della prima iscrizione sudarabica monumentale, sono scoperti, durante scavi clandestini, i primi documenti in scrittura minuscola, di cui si avevano già notizie dalle fonti arabo-islamiche: due bastoncini lunghi 12 cm e 16 cm e con un diametro di 3 cm, iscritti con un testo di 14 linee in una grafia sconosciuta. I bastoncini, detti provenire da as-Sawdāʾ, sono portati in prestito da un collezionista allo studioso M. al-Ghūl, che li presenta ad alcune conferenze scientifiche e ne decifra i primi caratteri. La decifrazione completa dei caratteri si raggiunge, tuttavia, solamente nel 1977.


Bibliografia di riferimento
Ryckmans et al. 1994
Robin 1997


Il ruolo della paleografia negli studi sudarabici

Alcuni dei tradizionali strumenti di datazione dei documenti antichi hanno un’applicazione solo limitata negli studi sudarabici.
L’uso della titolatura dei re menzionati nelle iscrizioni col loro nome, epiteto e filiazione, che permette di stabilire delle liste genealogiche e di calcolare approssimativamente la durata del regno di ciascun sovrano, è penalizzato da un’onomastica regale limitata e ripetitiva, che genera numerose omonimie e rende quindi difficile la sistemazione in sequenza dei vari sovrani.
Molto scarsi sono anche i dati utili ad ancorare le iscrizioni ad una datazione assoluta. Poche sono le menzioni di sovrani sudarabici in documenti esterni (annali assiri o fonti greco-romane) e le iscrizioni sudarabiche solo raramente fanno riferimento ad avvenimenti storici contemporanei, che riguardano altre regioni del Vicino Oriente.

Visti questi limiti e dato il carattere ampiamente formalizzato della scrittura sudarabica (specialmente quella monumentale) e la sua evidente evoluzione, la paleografia ha da sempre costituito un metodo ampiamente utilizzato per la ricostruzione storica.

Dopo i primi studi risalenti alla fine del 1800 e nella prima metà del 1900, si deve a J. Pirenne il merito di aver fondato per prima su basi solide i criteri di evoluzione cronologica della scrittura monumentale sudarabica. Avendo a disposizione un materiale di circa 500 foto e 700 facsimili, Pirenne ha per prima considerato la paleografia come una vera scienza di osservazione, che ha lo scopo di analizzare, nominare e classificare i documenti. Il materiale è ridotto quindi ad una dimensione comune (1 cm) per conservare le proporzioni, e le lettere, ordinate per forma, sono disegnate su fogli millimetrati. Il fine senso estetico della studiosa le permise di riconoscere le lettere chiave per l’evoluzione e di individuarne esattamente gli elementi che cambiavano nel tempo. Tale lavoro la portò alla classificazione delle iscrizioni in periodi, a loro volta suddivisi in stili. 
Tuttavia, nonostante le intuizioni paleografiche di Pirenne restino ad oggi valide, le conclusioni storiche che ne aveva tratto – cioè la formazione della scrittura sudarabica (e dunque dei regni sudarabici) nel V secolo a. C., derivante da quella fenicia e influenzata dalla grafia greca – si sono rivelate del tutto errate. Anche l’applicazione del metodo paleografico alle iscrizioni delle epoche storiche più tarde (dal III al VI sec. d. C.) ha portato la studiosa a delle ricostruzioni storiche spesso sbagliate.

Qualche anno dopo, H. v. Wissmann ha elaborato una nuova griglia paleografico-cronologica delle iscrizioni sudarabiche in base alla quale le prime iscrizioni sudarabiche venivano datate all’VIII secolo a. C. La “cronologia lunga”, contrapposta alla “cronologia corta” di Pirenne, è stata ormai definitamente accolta.

Nonostante l’impressione generale sia che la scrittura si sia evoluta in maniera abbastanza omogenea in tutta l’Arabia meridionale, non si può però immaginare che le innovazioni grafiche siano state recepite simultaneamente e allo stesso modo dalle varie scuole scrittorie sudarabiche. Inoltre, può accadere che, soprattutto in alcune zone periferiche, ci siano stati attardamenti grafici o stili che sono locali e del tutto distanti da quelli in voga nelle scuole scrittorie centrali. 

Il metodo paleografico può rivelarsi molto utile ed affidabile soprattutto se applicato alla documentazione di un unico sito. Un valido esempio è il corpus dal sito di Raybūn, in Ḥaḍramawt, studiato da S. Frantsouzoff. Anche in questo caso, però, l’applicazione della paleografia è stata ridotta ad un calcolo matematico di coefficienti di proporzioni, in cui gli angoli e le varianti infinitesimali della forma hanno finito per avere più importanza di altri dati nella datazione dei testi.
 
Un approccio più globale, che tiene conto non solo del ductus paleografico, ma anche delle caratteristiche testuali come la grammatica, il lessico, il formulario e il contenuto, è stato applicato da A. Avanzini per la suddivisione della documentazione proveniente da Qatabān.

Di recente, un nuovo quadro dello sviluppo della scrittura sudarabica, monumentale e minuscola, è stato delineato da P. Stein, il cui studio parte dai pochi testi sudarabici che presentano dati utili per un appiglio cronologico certo. Da questo punto di partenza, Stein evidenzia quattro stili principali con evoluzioni interne, e un cambiamento che avviene in media ogni tre secoli.

Ad oggi, non c'è ancora tra gli studiosi alcun accordo, né terminologico né sostanziale, sui principali stili grafici che hanno caratterizzato la grafia monumentale sudarabica.


Bibliografia di riferimento

Pirenne 1956
v. Wissmann 1976
Ryckmans 1991-1993
Pirenne 1990
Ryckmans 2001
Avanzini 2004
Frantsouzoff 2005
Stein 2013

Macdonald 2015

 


Materiali e supporti

Gli antichi sudarabici hanno sperimentato la scrittura su una straordinaria varietà di materiali e supporti diversi. La scelta di questi non è casuale, bensì è strettamente legata al tipo di testo e, nel caso dei manufatti, spesso alla funzione di questi.

La pietra è di gran lunga il materiale più usato. Essa è preferita, naturalmente, per le iscrizioni che sono incise su supporti che si possono definire “monumentali”, come i blocchi inseriti nelle strutture architettoniche: opere difensive (cinte murarie cittadine), impianti d’irrigazione (dighe e bacini), templi o abitazioni private. La pietra è, spesso, quella naturale delle rocce: centinaia d’iscrizioni sono state incise sulle montagne e le pareti di roccia di varie regioni yemenite. Le iscrizioni rupestri possono commemorare il passaggio di un esercito come quello di un singolo pastore dietro alle sue greggi. Presso alcuni santuari rupestri, i sudarabici hanno affidato alla roccia il ricordo d’imprese di guerra, che hanno fornito dati storici di capitale importanza per gli studi sudarabici. Così pure incisi sulla roccia sono importanti testi legali, che regolano la divisione dei campi circostanti, il flusso delle acque dai canali, il confine tra due territori. Questa funzione è anche assolta da grandi stele monumentali in pietra, apposte in luoghi aperti quali mercati e campi coltivati.

Il secondo tipo di materiale più usato è il legno, che era economico e si trovava in grandi quantità presso qualsiasi insediamento agricolo. Sono stati rinvenuti centinaia di bastoncini di legno o steli di palma, iscritti con testi in scrittura minuscola. La tradizione arabo-islamica chiama gli steli di palma iscritti ʿaṣīb (plurale ʿuṣub) e si narra che parti del Corano siano state scritte su questo tipo di supporto.

Iscrizioni sono poi incise su una grande varietà di manufatti, spesso realizzati in pietra pregiata, come l’alabastro, un materiale molto ricercato e amato per la sua bellezza e luminescenza. Iscrizioni sono state incise anche su oro e argento (oreficeria, glittica), o su materiali di origine organica, quali corallo e avorio.

La cultura sudarabica ha lasciato anche un numero rilevante d’iscrizioni su placchette e manufatti di bronzo. Oltre che su una grande varietà di sculture, sia antropomorfe che teriomorfe, iscrizioni sono state incise anche sulla suppellettile, arredi di culto (lucerne, incensieri, portagioie), strumenti di misura (pesi, bilance, unità di misura), vasellame e supporti.

I diversi tipi di contenitori in ceramica, utilizzati per il trasporto e la conservazione dei vari prodotti e alimenti, portano spesso incisa, sulla parete o sull’orlo, una breve iscrizione che indica una speciale formula propiziatoria, oppure il nome del proprietario, della sostanza contenuta o della quantità del prodotto. In Arabia meridionale sono stati rinvenuti numerosi ostraca iscritti con un nome proprio, utilizzati per individuare le tombe dei defunti.
 
I contesti d’uso di questi oggetti, spesso di pregevole qualità artistica, sono principalmente tre: il contesto religioso, nel caso di oggetti votivi offerti alla divinità e spesso accompagnati da iscrizione dedicatoria (come le statue o le lastre decorate) oppure facenti parte dell’arredo cultuale (altari, incensieri, tavole offertorie); il contesto domestico (nel caso di molte categorie quali la suppellettile, i contenitori, i supporti) e quello funerario (steli funerarie e oggetti del corredo delle tombe). 

Non sono documentati archeologicamente, a parte rare eccezioni, materiali quali papiro, pelle e pergamena, ma anche cotone, lino, seta e ossa di animali, usati in maniera estensiva in altre regioni del vicino Oriente e del Mediterraneo.


Bibliografia di riferimento
Maraqten 2009
Stein 2010 b


Tecniche

La tecnica di scrittura più utilizzata è quella dell’incisione. Sulle rocce naturali e sulla pietra, come sul legno o sulla terracotta il testo veniva cesellato.

Le iscrizioni su pietra, oltre che incise con un tratto singolo, venivano sbozzate a rilievo. Questa tecnica diventa la norma per il periodo tardo della storia sudarabica (IV-VI sec. d. C.) quando, a parte le iscrizioni incise sulla roccia, quelle su pietra sono pressoché invariabilmente incise in rilievo.

Le iscrizioni in scrittura minuscola incise sul legno presentano un tratto sottile che può essere uniforme, oppure presentare dei filetti e dei neretti. Questo presuppone un’incisione per mezzo di una lama molto affilata. Fino ad ora sono stati ritrovati stili appuntiti in ferro o bronzo, oppure in legno, terminanti con punta in metallo. Archeologicamente documentati, sono anche gli stili in avorio. In alcuni testi, l’incisione si è distaccata fino a formare un rilievo di colore scuro, dovuto al rigonfiamento (provocato dall’umidità o dalla salinità) della sostanza originaria (carbone di legno, oppure inchiostro) che era stata inserita nel tracciato per migliorarne la scrittura.

La tecnica di scrittura sul bronzo prevede due principali sistemi, che creano iscrizioni a rilievo o incise.
La tecnica a rilievo si utilizza solo nel caso di fusione a cera perduta (sia cava che piena) su positivo, e consiste nel modellare le lettere con la cera per poi attaccarle alla parete del modello. Nel caso di oggetti iscritti con questa tecnica, è quindi assicurata la contemporaneità tra testo e supporto, che sono creati nello stesso momento.
L’iscrizione incisa può essere ottenuta con due tecniche diverse: la prima, attuabile solo nel caso di fusione a cera perduta su positivo, consiste nel tracciare i caratteri nella cera, attraverso un tratto largo e profondo in modo da produrre un’iscrizione leggibile; nel secondo caso, il testo viene inciso nel bronzo con il bulino dopo la lisciatura. In tal caso, naturalmente, non si può essere certi che l’iscrizione sia contemporanea del supporto.
Le iscrizioni incise sul bronzo possono avere una scrittura “a doppio tratto”, in cui la forma di ciascun carattere è resa da una doppia linea parallela. Un’altra tecnica d’incisione attestata sul bronzo è quella “a tratto zigzagato”.

Una serie di contenitori in alabastro di dimensioni miniaturistiche, quali piccoli vasi e piatti, ma anche normali contenitori in terracotta, sono spesso iscritti con una tecnica d’incisione “a puntini”.

Quasi del tutto assenti sono le tracce di scrittura con inchiostro e pittura, anche se secondo le fonti arabo-islamiche, questa tecnica era diffusa in Arabia meridionale nel VI secolo d. C.
 

Bibliografia di riferimento

ʿAlī ʿAqīl e Antonini 2007
Jändl 2009
Ryckmans 1978
Stein 2010 a


L'alfabetizzazione in Arabia meridionale

Il corpus epigrafico proveniente dall’Arabia meridionale comprende circa 12.000 iscrizioni, scritte sia in grafia monumentale (per la maggior parte) che in grafia minuscola.
I documenti sudarabici sono connessi principalmente alle questioni relative alla vita di tutti i giorni della società sudarabica. I generi testuali più diffusi sono le iscrizioni di costruzione, che commemorano l’edificazione di templi, abitazioni, strutture idrauliche o difensive, tombe ecc. Numerosi sono i testi di carattere religioso, dediche indirizzate alle divinità per la richiesta di un favore o come espiazione. Connessi alla sfera religiosa sono anche i testi che regolano le cerimonie cultuali, oracoli, proverbi e auspici. Infine, molto attestati sono anche i testi legali, sia quelli redatti dalle autorità, come decreti e divieti, che quelli commissionati da privati (scritti questi in minuscolo), che regolano questioni economiche e legali. 
Molto più rari sono i documenti che contengono informazioni personali, affidati esclusivamente alle lettere e in scrittura minuscola.

I documenti non connessi alla vita di tutti i giorni comprendono iscrizioni commemorative (soprattutto d’imprese militari e politiche) incise sulle rocce delle montagne, in luoghi a volte impervi. Sempre sulla roccia, sono incise centinaia di graffiti, lasciati da genti di passaggio e che generalmente contengono solo il nome dell’autore.
Quasi del tutto assenti sono i testi letterari epici, storici o mitologici. Un’eccezione è costituita dal cosiddetto “Inno di Qaniya”, un poema in versi inciso sulla roccia e ancora non completamente compreso.

La straordinaria quantità di documenti, ufficiali e non, attestati in Arabia meridionale, farebbe pensare ad una società largamente alfabetizzata. In realtà, le iscrizioni non sono opera di privati, ma sono il prodotto di scuole scrittorie, create quindi in laboratori da scribi di professione.
Questo si capisce, per i testi in scrittura monumentale, dall’esistenza di “stili”, non solo grafici ma testuali, propri delle principali scuole scrittorie sudarabiche.

Per i testi in scrittura minuscola e in particolare la corrispondenza, è probabile che non solo il mittente dettasse il testo allo scriba (e questo è dimostrato dall’uso della terza persona riferita al mittente), ma anche che uno scriba leggesse la lettera al destinatario.

Si può affermare, quindi, che in Arabia meridionale esistessero due livelli di alfabetizzazione: il primo, che consiste nella capacità di incidere graffiti rupestri spontanei, ma che sono privi di qualsiasi esigenza comunicativa; e la seconda, che riguarda l’esistenza di un livello di comunicazione scritta per esigenze pratiche o meno, ma che è propria di scuole scrittorie e di una classe di persone alfabetizzate, sia del tempio che delle autorità politiche.


Bibliografia di riferimento
Macdonald 2005
Stein 2010